Se la "Primavera" insegue la politica

di Paolo Pomati

(questo resoconto è pubblicato sull'edizione cartacea della testata vercellese La Sesia in edicola il 22 marzo 2016)

 

Il 21 marzo tutti gli atenei d’Italia hanno celebrato la “Primavera delle Università”: una data simbolica in cui la Conferenza dei Rettori (CRUI) ha chiamato a raccolta tutto il popolo accademico per riflettere sullo stato dell’arte e sulle prospettive future. L’Università del Piemonte Orientale ha scelto di celebrare la giornata ad Alessandria, con interventi che hanno coinvolto tutto il territorio.

L’infografica preparata dalla CRUI ha snocciolato in poche diapositive cifre durissime nella loro limpidezza di significato. Ne ricordiamo almeno cinque:

· l’Italia ha il numero di laureati più basso d’Europa (Regno Unito 42%, Francia e media UE 32%, Germania 27%, Italia 17%);

· in Italia il rapporto tra studenti e professori è il meno vantaggioso d’Europa (Germania 1:7, Spagna 1:12, Regno Unito 1:16, Italia 1:19);

· l’Italia non investe nell’Università: la spesa per abitante è la più bassa tra i paesi civilizzati (Corea 628 euro, Singapore 573, Giappone 331, Germania 304, Francia 303, Italia 109!)

· l’Italia è l’unico paese ad avere introdotto austerity per le università: negli ultimi sei anni si è avuto un calo del 10% degli investimenti, contro un rialzo del 3,6% della Francia e del 20% della Germania;

· le risorse umane calano spaventosamente: negli ultimi cinque anni abbiamo avuto 130 mila studenti in meno, 10 mila professori mancanti all’appello, così come 5 mila dottori di ricerca e 5 mila tra impiegati e tecnici. In aggiunta, il contratto del personale tecnico-amministrativo è fermo dal 2009 e gli stipendi dei professori dai 2010.

Il Rettore Cesare Emanuel, commentando questi dati, ha provato a enunciare i motivi per cui questa tendenza suicida del nostro Paese vada completamente invertita e al più presto. L’istruzione universitaria, innanzi tutto, crea persone più libere e più forti. La laurea aumenta la possibilità di trovare occupazione e consente di guadagnare di più. La presenza di un’università genera territori più ricchi attraverso trasferimenti di tecnologia, contaminazione di conoscenza, divulgazione, sanità e servizi per i cittadini, posti di lavoro diretti e indiretti, consumi dei residenti temporanei, miglior qualità della vita culturale. Un euro investito nell’università frutta almeno 1 euro al territorio. 

Le sfide da affrontare sono numerose. Norme bizantine impediscono all’Università di essere competitiva. L’Università compete con avversari internazionali snelli ed efficaci e viene trattenuta nel suo slancio dal peso di regole complicate. Occorre creare nuove opportunità per i giovani ricercatori, perché l’uscita dei cervelli è assai preoccupante e non è compensata dall’entrata di ricercatori stranieri attratti dalle nostre capacità. 

Il Rettore ha ricordato che negli ultimi anni l’Università ha dovuto arrangiarsi da sola: i tagli, solo per il Piemonte Orientale, hanno inciso per 18 milioni di euro in cinque anni. L’Ateneo vi ha fatto fronte con diversi correttivi che sono andati ben oltre il sacrificio: la razionalizzazione della spesa, la riduzione del personale, le convenzioni esterne. Il tutto è stato ripagato da un’impennata delle immatricolazioni (una crescita del 50% in quattro anni, sottolinea “Il Sole 24 Ore” di lunedì 21 marzo 2016), ma l’orgoglio per i risultati non basta per pianificare il futuro con sufficiente respiro.

Il professor Menico Rizzi, già delegato del Rettore per la ricerca scientifica, ha ammonito sulla necessità di non confondere la denominazione “primavera” con il termine “rinascita”. “Il nostro Ateneo – ha detto citando le indagini dell’ANVUR – ha tutte le capacità per produrre ottima ricerca di base e applicata. L’esperienza delle eccellenze in ambito mondiale ci insegna che è necessario investire nella ricerca indipendente di realtà piccole e intraprendenti, proprio come la nostra, che sappiano creare sinergie mirate con il territorio”.

L’UPO ha poi voluto dare voce ai ricercatori, vera e propria linfa vitale per raggiungere i risultati sopracitati. Secondo il sociologo Domenico Carbone l’Italia, insieme alla Svezia, è l’unico Paese europeo in cui la fiducia nei confronti dell’utilità delle università è calata. A credervi ancora sono proprio i laureati, segno che chi vive l’università giorno per giorno ne apprezza le potenzialità, anche e soprattutto in chiave occupazionale. La patologa Annalisa Chiocchetti ha invece sottolineato la necessità di continuare a finanziare la ricerca di base. “La ricerca applicata è recepita come più comprensibile e se ne comprendono più velocemente i risvolti pratici. Tuttavia è grazie alla ricerca di base e alle nozioni che se ne ricavano che è stato possibile, per esempio, debellare malattie come il vaiolo. Oggi però ci troviamo di fronte a una situazione che costringe il 96% dei nostri assegnisti di ricerca a trovarsi un lavoro fuori dall’università o fuori dall’Italia”.

Ai politici presenti (il senatore Daniele Borioli, l'onorevole Enrico Borghi, l'onorevole Cristina Bargero e l'onorevole Renzo Penna) sono state rimarcate le inerzie soprattutto a livello regionale, dove i temi dei trasporti e del diritto allo studio lamentano clamorosi ritardi e, soprattutto, dove la riforma Del Rio si è materializzata con la sola istituzione di Torino città metropolitana, che sta fagocitando tutti gli investimenti possibili, primi in assoluto quelli relativi all’università e alla ricerca.

I parlamentari, nei loro interventi conclusivi, paiono aver recepito i messaggi e si sono detti disponibili a sposare le cause della “Primavera delle università”, che non vogliono implicare una rinascita, perché l'Università non è mai morta, ma certamente una ripresa, il più veloce ed efficiente possibile, nella convinzione che solo la conoscenza può liberare il futuro dell'Italia.

La giornata si è conclusa con le parole della professoressa Maria Luisa Bianco, docente di Sociologia generale del DiGSPES, che, leggendo una lettera firmata da 64 professori e ricercatori dell’UPO e inviata al Ministro Giannini, ha voluto denunciare la scarsa considerazione di cui gode il personale docente delle università italiane, chiedendo che venga posto fine al blocco stipendiale presente dal 2010, che venga maggiormente garantito il diritto allo studio e che le risorse per la ricerca siano adeguate agli standard europei.

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